giovedì 10 gennaio 2013


Mexina city blues

Culturale a chi?

Uno dei pionieri dell’archeologia italiana, Paolo Orsi, nei primi del Novecento additava al popolo messinese un’indolenza acuta, sottolineando la scarsa partecipazione al recupero del proprio passato. Messina è una città martire, dove la distruzione legata ai vari terremoti ha indotto la comunità a considerare la caducità un sentimento inestirpabile dal proprio dna, riducendo l’impegno ad un’inutile attesa dell’ennesima devastazione.


Chi è un popolo che fatica ad interessarsi del proprio passato? Forse soltanto un pulviscolo di anime sole e sclerotizzate. Un vizio o un male endemico il nostro, che ci caratterizza e che forse ci piace.
In Italia vige una legislazione che tutela le aree archeologiche e obbliga una progettazione urbanistica che difenda i siti d’interesse culturale. È bene ricordare che i beni culturali non sono altro che beni pubblici, la cui fruizione è un diritto inalienabile del cittadino che non può essere ostacolata dagli interessi di un palazzinaro qualsiasi. È chiaro che il problema della città di Messina è la scarsa partecipazione, il non sentire l’onere di difendere il proprio territorio dagli abusi e dalle logiche personali, oltre ad un mondo scientifico impantanato spesso in un mero desiderio di far carriera e lontano dall’idea di bene comune. L’espandersi dell’edilizia privata ha limitato la ricerca archeologica in città, la gran parte degli interventi non è costituita da altro che da scavi di emergenza effettuati al seguito di sbancamenti edilizi. Ciò ha comportato spesso la distruzione di alcune aree d’interesse culturale e il recupero esclusivo di beni che sarebbe stato davvero scandaloso disperdere. A questo quadro si aggiungono le povere documentazioni degli addetti ai lavori, che a volte sono anche errate e confuse.
Quali sono le proposte per rilanciare la ricerca? E quali sono le proposte che permettano un’adeguata valorizzazione del patrimonio culturale messinese? Queste sono domande a cui la sovrintendenza dovrà prima o poi rispondere, data l’assenza nel Museo Regionale di una struttura, attesa ormai da decenni, predisposta all’esposizione dei ritrovamenti archeologici.
Tuttavia, sarebbe davvero un errore non esaltare quei pochi personaggi che hanno contribuito, spesso con coraggio, a gettare luce sul passato di una città abbandonata al compromesso. Tra questi l’archeologo Giacomo Scibona, recentemente scomparso. Sua è la campagna di scavo effettuata all’inizio degli anni ottanta nell’area dove oggi sorge il Palazzo della Cultura (isolato n. 373 di viale Boccetta) che ha restituito una copiosa documentazione di epoca storica e preistorica.
Sono certo che anche un’adeguata informazione è indispensabile alla formazione di una coscienza civica più alta. Quanti in Messina e provincia sanno della scoperta di una tomba monumentale a tholos (monumento funebre caratterizzato da una sala circolare, a volte interrata, coperta da una pseudocupola) dell’età del bronzo, rinvenuta durante i lavori per la realizzazione del complesso I Granai nell’area degli ex Molini Gazzi?
È necessaria una rete più fitta che riesca a risuscitare un turismo che in città sembra in via d’estinzione, ma è indispensabile un atteggiamento più conciliante tra sovrintendenza, università, uomini di cultura e media. Non bisogna più stordirsi con inutili narcisismi, allontanarsi dagli ottusi campanilismi e ritrovare la via della collaborazione, evitando i privilegi dei pochi. L’atavica indolenza inizia a pesare troppo sulle nostre spalle, personalmente non vorrei morire prima di aver almeno provato a togliermi di dosso questo peccato secolare, cercando sempre di denunciare il marcio che in qualche modo ci contamina, ci livella e rischia così di renderci uguali a chi realmente questo male lo perpetua. Se personaggi come Scibona hanno tracciato il solco, spetta alle nuove generazioni seminare e far mettere le radici al buon senso.
Perdere l’identità è pernicioso e l’abulia una cagna che è sempre pronta ad offrirti il suo seno.

Tonino Cannuni 

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