Mexina
city blues
Culturale
a chi?
Uno
dei pionieri dell’archeologia italiana, Paolo Orsi, nei primi del
Novecento additava al popolo messinese un’indolenza acuta,
sottolineando la scarsa partecipazione al recupero del proprio
passato. Messina è una città martire, dove la distruzione legata ai
vari terremoti ha indotto la comunità a considerare la caducità un
sentimento inestirpabile dal proprio dna, riducendo l’impegno ad
un’inutile attesa dell’ennesima devastazione.
Chi
è un popolo che fatica ad interessarsi del proprio passato? Forse
soltanto un pulviscolo di anime sole e sclerotizzate. Un vizio o un
male endemico il nostro, che ci caratterizza e che forse ci piace.
In
Italia vige una legislazione che tutela le aree archeologiche e
obbliga una progettazione urbanistica che difenda i siti d’interesse
culturale. È bene ricordare che i beni culturali non sono altro che
beni pubblici, la cui fruizione è un diritto inalienabile del
cittadino che non può essere ostacolata dagli interessi di un
palazzinaro qualsiasi. È chiaro che il problema della città di
Messina è la scarsa partecipazione, il non sentire l’onere di
difendere il proprio territorio dagli abusi e dalle logiche
personali, oltre ad un mondo scientifico impantanato spesso in un
mero desiderio di far carriera e lontano dall’idea di bene comune.
L’espandersi dell’edilizia privata ha limitato la ricerca
archeologica in città, la gran parte degli interventi non è
costituita da altro che da scavi di emergenza effettuati al seguito
di sbancamenti edilizi. Ciò ha comportato spesso la distruzione di
alcune aree d’interesse culturale e il recupero esclusivo di beni
che sarebbe stato davvero scandaloso disperdere. A questo quadro si
aggiungono le povere documentazioni degli addetti ai lavori, che a
volte sono anche errate e confuse.
Quali
sono le proposte per rilanciare la ricerca? E quali sono le proposte
che permettano un’adeguata valorizzazione del patrimonio culturale
messinese? Queste sono domande a cui la sovrintendenza dovrà prima o
poi rispondere, data l’assenza nel Museo Regionale di una
struttura, attesa ormai da decenni, predisposta all’esposizione dei
ritrovamenti archeologici.
Tuttavia,
sarebbe davvero un errore non esaltare quei pochi personaggi che
hanno contribuito, spesso con coraggio, a gettare luce sul passato di
una città abbandonata al compromesso. Tra questi l’archeologo
Giacomo Scibona, recentemente scomparso. Sua è la campagna di scavo
effettuata all’inizio degli anni ottanta nell’area dove oggi
sorge il Palazzo della Cultura (isolato n. 373 di viale Boccetta) che
ha restituito una copiosa documentazione di epoca storica e
preistorica.
Sono
certo che anche un’adeguata informazione è indispensabile alla
formazione di una coscienza civica più alta. Quanti in Messina e
provincia sanno della scoperta di una tomba monumentale a tholos
(monumento funebre caratterizzato da una sala circolare, a volte
interrata, coperta da una pseudocupola)
dell’età
del bronzo, rinvenuta durante i lavori per la realizzazione del
complesso I
Granai nell’area
degli ex Molini Gazzi?
È
necessaria una rete più fitta che riesca a risuscitare un turismo
che in città sembra in via d’estinzione, ma è indispensabile un
atteggiamento più conciliante tra sovrintendenza, università,
uomini di cultura e media. Non bisogna più stordirsi con inutili
narcisismi, allontanarsi dagli ottusi campanilismi e ritrovare la via
della collaborazione, evitando i privilegi dei pochi. L’atavica
indolenza inizia a pesare troppo sulle nostre spalle, personalmente
non vorrei morire prima di aver almeno provato a togliermi di dosso
questo peccato secolare, cercando sempre di denunciare il marcio che
in qualche modo ci contamina, ci livella e rischia così di renderci
uguali a chi realmente questo male lo perpetua. Se personaggi come
Scibona hanno tracciato il solco, spetta alle nuove generazioni
seminare e far mettere le radici al buon senso.
Perdere
l’identità è pernicioso e l’abulia una cagna che è sempre
pronta ad offrirti il suo seno.
Tonino
Cannuni
Nessun commento:
Posta un commento